Sapersi ritirare è un’arte
C’è sempre una prima volta. Ci sono poi gli eventi ufficiali e quelli ufficiosi, quindi se non è capitato, capiterà. Lo sapevo ed ora lo posso testimoniare.
“Andare in ritiro”, “Battere in ritirata”, “Ritirarsi in buon ordine”… Tanti modi di dire legati all’imprevisto, il
– quasi – non calcolato nefasto epilogo che ci vede cambiare programma in corso d’opera.
Questa volta è toccato a me scegliere il Piano B, quello del ritiro da un trail competitivo di 43 km D+ 2500 m
(vedi articolo In ritiro all’UTSS di Baunei) per poi dover fare i conti con i “se” e i “ma”. Arriva anche il “senno di poi”, questa è
un’altra certezza.
Una questione di autostima. Perché parlo della visione che abbiamo di noi stessi? Siamo esposti come agonisti e lo siamo ancora di più se siamo frequentatori dei social network.
Ci sono agonisti sfegatati che si ritirano perché la propria prestazione non è all’altezza delle proprie e/o delle altrui aspettative. Questa scelta non la condivido. Il tuo palmares, i tuoi personal best e i tuoi diretti
avversari che ti surclassano ledono la tua autostima? Cambia prospettiva!
Questo però è il mio sentiero biografico ed il mio ragionato ritiro ha, o meglio aveva, dell’inspiegabile
perché non credevo che la testa – la mia testa! – potesse diventare un’acerrima nemica di un anelato trail che inseguivo da tempo.
Credevo che correndo quasi esclusivamente in solitaria ed in completa autosufficienza idrica e alimentare su lunghe distanze in ambiente naturale avessi scongiurato l’insorgere di pensieri che alimentano pericolosi meccanismi mentali.
Si dice che tante corse, ma direi tutte, si corrono con la testa. Verissimo ed ovviamente il corpo deve rispondere “presente” all’appello. Ma è proprio quando manca il supporto del fisico che la mens del trailer deve supplire il deficit muscolare.
Se solo fossi riuscito a cambiare prospettiva… Me lo sono detto più volte, ma l’impasse mentale ha avuto la meglio.
Piano B, maledetto Piano B!!! No. No, perché riesci a cambiare prospettiva anche quando opti per una variazione di itinerario. Quindi nuova interpretazione – e aggiungerei positiva – del Paino B.
Ho detto e ribadito che probabilmente – non posso averne la certezza – se il tracciato della mia 43 km non avesse avuto un bivio che smistava il gruppo verso la 25 km D+ 1600 m, forse dal mio trono in pietra
calcarea mi sarei alzato per riprendere la mia corsa, consapevole che per tornare a casa quella era l’unica strada possibile.
Ho peccato di altruismo, se di peccato possiamo parlare.
Se si ritiene che la propria corsa possa arrestarsi perché demotivati e stanchi allora reputo corretto fermarsi presso i punti presidiati dai volontari piuttosto che cavalcare l’egoismo e correre per altri chilometri
dovendo poi chiedere l’intervento dei soccorsi. Questo è il mio punto di vista e da qui è scaturita la decisione. Una volta saputo che sarei potuto scendere autonomamente lungo il percorso della 25 km ho scelto di proseguire come ritirato arrivando al traguardo con le mie forze. Il sorriso mi sarebbe mancato qualora avessi proseguito contro le mie valutazioni in itinere – è il caso di dirlo – arrivando poi a chiudere la giornata a bordo di un mezzo dei soccorritori. No, quello è un diritto riservato a chi è vittima di un imprevisto e si trova impossibilitato nel rientro in completa autonomia.
Apprendimento per scoperta.
Ho sempre ritenuto altamente formativa questa modalità perché capace di dare una forma a tutto tondo all’esperienza diretta. Acquisire dati dai racconti di altri trailer o leggere delle altrui debacle non consente la costruzione dello strumentario utile a far fronte a crisi che determinano il ritiro da una corsa. Non solo: il bello viene dopo. A mente fredda, il ritiro per cause legate al mancato supporto della testa vanno sapute accogliere e dotate di significato. Parliamo di un intimo soliloquio che, con andamento ricorsivo, sarà
produttivo solo se contribuirà ad incrementare la conoscenza di noi stessi. Il “nosce te ipsum” del trail runner passa anche attraverso la strada del ritiro – quasi spirituale – e prosegue lungo tutti i sentieri sui
quali decideremo di correre.
“Mi si nota di più se mi ritiro o se taglio il traguardo?”.
Questa è una domanda che mai vorrei rivolger a me stesso e oggi, prendendo in prestito – mediante parafrasi – un dialogo di Nanni Moretti nel film Ecce bombo, ironizzo sul dopo gara condito da alcune perplessità e qualche battuta regalatami da amici trailer (“Voglio vedere se ne parlerai sul tuo blog!”; “Ah
ma ti sei ritirato dalla 43 km, non dalla 25 km!”, come se una distanza minore determinasse pareri diversi).
Ho ricevuto più solidarietà e domande relative al mio ritiro all’UTSS di Baunei (OG – Sardegna) di Kilian Jornet al suo UTMB 2018! Ironia a parte, mi è stato fatto notare che in qualità di blogger sono in vista quanto o forse più di chi corre per fare classifica e che questi riflettori possono enfatizzare l’opzione scelta per chiudere la mia gara.
Un insieme di concause secondo altri pareri.
Aggiungo il senso di sazietà. Forse avevo la pancia piena: non dovevo dimostrare niente a me stesso, non stavo inseguendo un particolare obiettivo… Eppure la partecipazione a questo evento per me era importante. Un insieme di concause, una serie di valutazioni, un’alternativa però corsa con le mie forze sino
al traguardo, anche se di un’altra distanza.
Notti quasi in bianco, colazione non all’altezza dello sforzo a cui era chiamato il corpo, tre giorni consecutivi di tachipirina per completare la ricetta. No, non credo sia stata l’alchimia di questi elementi a determinare il
mio ritiro. Il giorno dopo le gambe erano in ottime condizioni: avrei potuto correre nuovamente un trail di questo genere. Di solito dopo un trail km 25 D+ 1600 m con quel tipo di fondo e caratteristiche tecniche mi lascia dolori muscolari. Ciò, a mio avviso, testimonia che il corpo c’era e che a dare forfait è stata la testa.
Mi ronzavano in testa pensieri legati alla stanchezza a cui ho abbinato quella che secondo me non era la preparazione che avrei voluto seguire, pur non essendo un agonista alla ricerca di piazzamento. Scoraggiato
e abbindolato dal GPS che – ne sono sempre stato consapevole – può diventare il tuo peggiore nemico se lo leggi dalla prospettiva sbagliata.
In qualità di mio giudice e carnefice si metta agli atti che nessuna pena è stata comminata per la scelta di ritirarmi e percorrere l’itinerario minore sino al traguardo.
Nessuna onta da lavare col sudore sui sentieri. Non di vergogna bisogna parlare, bensì di un nuovo elemento che contribuisce ad arricchire il nostro bagaglio esperienziale.
Oggi sono più forte perchè conosco meglio me stesso.
Scarpe ben allacciate, testa sulle spalle e via verso nuovi sentieri.
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