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Cari organizzatori, ci state viziando



Cari organizzatori, ci state viziando


Cari organizzatori, ci state viziando!
Non è che con tutti questi accorgimenti – il lavoro sui sentieri, il minuzioso briefing, le fettucce ogni 50 metri e le tracce gps, il grande dispiego di volontari sul tracciato, le scuse con tanto di carezze – gli organizzatori di gare stanno viziando il popolo dei trail runner?
Bambagia per il trasporto sino alla start line e tappetto rosso al traguardo, possono bastare (?).
Sentieri puliti, forse troppo. Ok alla rimozione dei rovi che se in presenza massiccia ti fanno a brandelli indumenti e zaino (con quello che costano!), ma senza esagerare.
Vogliamo parlare dell’incredibile numero di segnali lungo il percorso gara per indicare la giusta direzione da seguire? Ci sono partecipanti che ormai, stanno quasi arrivando a pretendere un filo d’Arianna che li guidi dalla partenza sino all’arrivo. Possibilmente vorrebbero essere collegati a questo filo tramite cintura. Ma sia chiaro: questo sistema non deve interferire negativamente sulla performance!
Ci state viziando e noi ve lo stiamo permettendo o, peggio ancora, vi stiamo guidando verso un trail running meno avventuroso. E se questo modo di fare stesse mettendo a tacere la vera natura di questa disciplina?
Il trail running è un’avventura di corsa sui sentieri. Un’avventura, il che prevede la presenza di imprevisti e difficoltà – su vari livelli – presenti sul percorso.
Più l’organizzazione della gare si sostituisce al/lla trail runner nella gestione della corsa e minori saranno le occasioni di crescita per il/la trailer nell’acquisizione di capacità ed esperienza outdoor.
Non è una corsa su strada, non è un cross: è un trail!
Questo vale in particolar modo per le lunghe distanze e ancor di più per gli ultra.
Nelle mie corse, nel dopo gara, nei trail autogestiti che organizzo o a cui ho preso parte, raccolgo entusiasmi, impressioni, paure e critiche talvolta più aspre del dovuto nei riguardi degli eventi agonistici.
È nostro dovere interrogarci sulle capacità che abbiamo sviluppato nella corsa in ambiente naturale e sulle prove a cui ci sottoponiamo nel corso delle nostre uscite.
Più i percorsi verranno, in qualche modo, facilitati e maggiori saranno le lamentele per i piccoli imprevisti.
Che dovreste aspettarvi dai trailer viziati? Colpa vostra, ma anche nostra quando non ci adeguiamo all’inospitalità dell’ambiente in cui ci muoviamo.
Premetto che in un evento di trail running ciò che viene inserito nel regolamento deve essere rispettato in toto, dal momento che un progetto su carta non ha senso sino a quando non trova concretezza nelle azioni e quindi sul territorio.
Se viene garantita la presenza di “n” ristori, indicata la regola di percorrenza del tracciato mediate segnali di un certo tipo sistemati in un dato modo ed altri aspetti utili alla sicurezza e alle garanzie per chi cerca la miglior prestazione atletica possibile, allora è doveroso per gli organizzatori offrire un tracciato che rispecchi quanto dichiarato sul programma di gara.
Fatta la dovuta premessa, passiamo al nostro ruolo.
Prima di iscriverci ad una competizione di trail running ritengo sia nostro dovere (verso noi stessi, ma forse in primis nei confronti degli organizzatori) domandarsi se:
– Ho mai preso parte ad una gara con caratteristiche simili (distanza, dislivello, tipologia di fondo, condizioni meteorologiche e climatiche)?
Se la risposta è negativa, allora dovremmo passare ad un altro interrogativo:
– Quali corse ho fatto per conto mio per ritenermi adeguatamente preparato ad affrontare la competizione che ho scelto?
Alla base delle nostre scelte ci deve essere la consapevolezza delle nostre capacità e dell’esperienza necessaria per vivere nel migliore dei modi una competizione sui sentieri.
Sento pesanti accuse provenire da chi non corre in solitaria, da persone che di trail ne vedono uno o due all’anno e da chi è solito non variare i percorsi di allenamento: tutti aspetti che devono essere coltivati per contribuire ad una crescita a tutto tondo del trailer.
– Hai mai corso di notte?
“Sì, nel mio quartiere”. Ad una simile risposta, il mio consiglio è quello di iscrivervi ad urban trail notturno o ad una corsa su strada che preveda l’utilizzo della lampada frontale, non ad una Long notturna in montagna. Magari, con questo tipo di verginità si può fare un’esperienza in uno short trail o qualcosa di più. Ovviamente dipende da che tipo di persona siete, ma ricordiamoci che l’inesperienza si paga e che dovreste essere solo voi a farne le spese e non la macchina dei soccorsi a cui segue la gogna per gli organizzatori.
– Hai mai perso il sentiero, l’orientamento, durante un trail autogestito in solitaria?
Nel caso vi sia capitato, ripercorrete i vostri passi – l’errore –, rispolverate le emozioni vissute e concentratevi su quali schemi decisionali avete fatto affidamento per uscire dalla situazione in cui vi siete ritrovati. L’esperienza aiuta e consente di leggere meglio anche futuri imprevisti nei contesti protetti offerti dalle gare. Se siete soliti perdervi allora sarà necessario capire quali siano le vostre responsabilità e migliorare le vostre capacità di navigazione e non pretendere segnaletica verticale e orizzontale ogni due
metri.
– Alberga in voi lo spirito d’avventura?
Qualora la risposta sia negativa, allora consiglio di arrivare in modo graduale a questo tipo di esperienza e così comprendere se il trail running rispecchia ciò che cercate nella corsa e non pretendere che la natura venga domata per consentirvi una corsa più serena.
Cari organizzatori, non abboccate a richieste fuori da ogni logica, che vogliono una natura docile e piegata al volere della tranquillità eccessiva di chi vuole correre un trail, ma in versione light.
“Certo che questo single track poteva esser sistemato meglio!”. Tenete a mente che in mountainbike quando non si può pedalare si fa portage, ossia si scende dalla bici, si spinge e spesso si percorrono tratti – talvolta
lunghi – con la mtb in spalla. Quando un single track non è corribile si cammina e ci si arrampica se necessario. Perché viziarci sino al punto di modificare la natura dei sentieri?
Quanto scritto vuole mettere in evidenza che la nostra inesperienza in determinate situazioni non devediventare un’arma da utilizzare per demolire il lavoro fatto dagli organizzatori.
– Corri sui single track? Nelle tue uscite ti misuri anche su quelli tecnici e su quelli non corribili? Hai mai corso in mezzo ai cespugli su sentieri non battuti?
La risposta a questi quesiti dovrebbe determinare un cambio di programma nelle vostre corse, nella scelta della gara ma non sul comfort che gli organizzatori devono, a vostro avviso, garantire sul tracciato.
Forse, cari organizzatori, dovreste rimproverarci quando facciamo il passo più lungo della gamba. Ad alcune gare si accede solo dopo aver costruito un determinato curriculum vitae maturato esclusivamente sui sentieri: ci sarà un perché? Se i sentieri fossero più impervi forse alcuni stradisti andrebbero per gradi e non arriverebbero ad iscriversi senza alcun tipo di esperienza specifica per poi magari andarsi a lamentare sulle condizioni del percorso e l’assenza di fettucce ogni due metri lungo il tracciato. Vedete che cosa succede quando viziate i partecipanti?
Prima ho usato l’esempio del trail notturno perché ritengo che correre sui sentieri di notte, in solitaria, sia altamente formativo in quanto portiamo con noi qualche demone da esorcizzare. Esperienza da fare e da rifare. La corsa in montagna fatta in solitaria – a maggior ragione quella notturna – forgia il carattere delle persone.
“Gara di trail running sconsigliata a chi non ha maturato esperienza di corsa su sentieri tecnici”: che fai ti iscrivi anche se hai corso solo degli urban trail e non corri mai in ambiente naturale? Affari tuoi, ma non venire a lamentarti.
Cari organizzatori, più concedete comodità e più queste vi verranno chieste. I partecipati avanzeranno sempre più pretese e voi sarete complici della depauperazione delle peculiarità naturali di questa meravigliosa declinazione della corsa.
Più ci viziate e più saremo insoddisfatti. Che cosa sarebbe il trail runnig senza almeno un pizzico di avventura?
Vedo e sento persone che corrono guardando i propri piedi, adducendo come motivazione che questa tecnica li tuteli dalle cadute. È vero proprio il contrario. Sguardo proiettato in avanti, di giorno come di
notte. Ma se corri così, puoi esercitare il diritto alla lamentela in merito al sistema di balisaggio del percorso?
Non vedi le balise (fettucce)? Distrazione o corri con il capo chino per ammirare le tue scarpe?
Ricordiamoci, inoltre, che più accumuliamo stanchezza, più siamo disidratati e con carenza di energie e maggiori sono i rischi legati agli errori di percorso perché le funzioni cognitive decadono in maniera direttamente proporzionale alla diminuzione del “carburante” nel nostro organismo. La disidratazione non influisce negativamente solo sulla performance atletica, ma anche sull’attenzione.
Nel trail running dobbiamo restare sempre concentrati sul percorso per capire dove mettere i piedi e quali segnali seguire per proseguire sul tracciato corretto: attenzione prolungata e selettiva.
– È possibile che qualche errore di svolta sia legato a questa condizione fisiologica che ha influito sulle capacità cognitive sopra citate? È sempre colpa di chi ha tracciato? Perseverate nell’errore quando non vedete fettucce o altre indicazioni per più di 300-400 metri?
Se la risposta è affermativa allora siete diabolici e autolesionisti, ma anche poco onesti perché al termine della corsa gettate fango sugli altri senza assumervi un briciolo di responsabilità. È buona prassi percorrere a ritroso la strada sino ad individuare un segnale che magari è stato ignorato per qualche ragione.
Volete indicazioni ogni cinquanta metri anche sui percorsi obbligati?
Anche gli organizzatori sbagliano e gli errori nell’allestimento di un tracciato da trail running sono più facili da compiere rispetto a chi prepara una gara cittadina. Ci son poi quei “bontemponi” che tolgono le
indicazioni dai sentieri allestiti per la gara…
Cari organizzatori: e se ci faceste correre senza materiale obbligatorio, ricordandoci che un telo termico può salvare la vita a te o a chi potresti soccorrere? Siete la mamma che ci ricorda di guardare a sinistra e a destra prima di attraversare la strada.
Il materiale obbligatorio è una forma di diritto-dovere.
È diritto del trailer avere un regolamento che lo tuteli anche obbligandolo ad osservare determinati comportamenti e a possedere una serie di oggetti; è dovere dell’organizzatore vigilare affinchè il regolamento sia osservato in tutte le sue parti.
E se il problema dell’obbligo di materiale derivasse dalla scarsa attenzione che prestiamo alla nostra incolumità?
Viviamo in una società dove gli organi di polizia verificano che gli automobilisti utilizzino la cintura di sicurezza: di che cosa dovremmo stupirci?
Se non dovessimo aver con noi il materiale obbligatorio chi ne farebbe le spese? Non conosco la normativa italiana in merito alla firma di una ben strutturata liberatoria, ma anche nel caso fosse possibile sollevare da ogni responsabilità gli organizzatori, a doversi attivare dovrebbero comunque essere i soccorritori che magari non si sarebbero dovuti “scomodare” se gli atleti in gara avessero portato con sé tutto il necessario, compresa riserva idrica e alimentare, lampada frontale e tutti gli altri oggetti ritenuti fondamentali per le emergenze.
Obbligateci e verificate: male non fa di certo. Non dovete essere responsabili dell’irresponsabilità altrui: sia ben chiaro.
Torniamo alla riflessione sulle corse in solitaria, in autosufficienza idrica e alimentare.
Forse la risposta al “materiale obbligatorio” risiede nell’inesperienza o nella leggerezza con cui si affrontano le uscite al di fuori dei contesti agonistici.
Prima di iniziare a fare gare, non conoscevo i regolamenti che dettano le norme per i partecipanti. Il mio primo zaino (compagno di tante avventure e che ora mi segue nelle uscite in MTB) era privo di fischietto.
Dopo alcuni giorni ne fissai uno allo spallaccio. Per chi, se non per noi o per prestare aiuto, questi oggetti che ci “obbligano” ad avere nello zaino?
A mie spese ho imparato l’utilità dei cerotti second skin: li consiglio vivamente e forse dovrebbero diventare materiale obbligatorio. Perché mobilitare i soccorritori per le vesciche ai piedi quando questo problema potrebbe essere risolto con un cerotto? Anche un secondo paio di calze negli ultra ti può essere d’aiuto.
Obblighiamo i partecipanti a portare con loro anche due calzini tecnici di ricambio? I fazzolettini per eventuali necessità fisiologiche? Sto estremizzando il tema perché ci sono peculiarità che fanno capo alle nostre esigenze e altre che invece sono generiche e fondamentali. Però, vien da sé che se durante dieci o più ore di corsa – talvolta anche meno – si ha bisogno di andar di corpo, non è detto che madre natura ti possa fornire un rimedio naturale per le tue evacuazioni. “Obbligo di carta igienica (biodegradabile) o di
fazzoletti di carta per i bisogni corporali dell’atleta in gara”, un nuovo paragrafo per il regolamento della prossima gara. Non sarebbe neanche sbagliato, se proprio dobbiamo dirla tutta…
Gli organizzatori devono proprio dirci tutto? Sono loro i colpevoli delle nostre dimenticanze?
Manca un oggetto della lista e allora non parti. Nessuna penalità in termini di tempo.
Caro/a trailer resti alla start line perché se ti concedessi di correre senza tutti gli oggetti che nel regolamento sono ritenuti utili e necessari ti vizierei ulteriormente. Non ti faccio lo sconto attribuendoti trenta minuti in più sul cronometro perché in questo modo ti diseduco e quindi ti vizio. Così facendo, cari organizzatori, ci responsabilizzereste maggiormente.
Lo staff non ha controllato tutti gli zaini. Se nel programma viene riportato che sarà conditio sine qua non passare attraverso il “controllo bagaglio a spalla” (dopo tutto partiamo per un viaggio) con lo zaino per il ritiro del pettorale, allora la verifica va effettuata. Ma, ad una certa età, è possibile che la chioccia dell’organizzazione debba vigilare anche su questo nostro dovere? “Hai messo il diario nello zaino?… Ah, no… scusate: il telo termico.
Responsabilizzateci, cari organizzatori. Rendete nuovamente crudi i sentieri, dateci modo di sbucciarci le ginocchia e canzonateci nel caso in cui il kit medico sia rimasto a casa per rendere meno pesante lo zaino che trasportiamo lungo il percorso, ma soprattutto sanzionateci sulla nostra inadempienza.
Meno fettucce sul percorso e verifiche impeccabili sul materiale obbligatorio.
Una traccia gps, dei check point (con acqua e nient’altro) per la verifica dei passaggi, un tracker per rendere più agevole il recupero degli infortunati o dei ritirati (a loro spese), autonomia idrica e alimentare, un saluto con lo start e ci si rivede al traguardo per festeggiare l’avventura conclusa.
Il mio timore è che si arrivi a pretendere la presenza di trailer ingaggiati dall’organizzazione come pacer (o pacermaker), ristori ogni 5 chilometri per non dover avere il peso dello zaino sulle spalle e che i sentieri diventino piste dove poter mettere in sicurezza i nostri piedi.
Ci state viziando e questo non va bene. Il trail running deve rimanere il più selvaggio possibile, inospitale sino ad essere scortese con chi decide di indossare le scarpe e percorrere i sentieri.
Forse dovremmo gettare in un cassetto i nostri gps e iniziare a correre utilizzando carta e bussola, con transito obbligatorio in determinati check point e poi vedere chi al traguardo è giunto rispettando tutte le tappe intermedie della corsa. Così è nell’orienteerig e nelle raid adventure.
Sono sicuro che se coltivassimo maggiormente lo spirito d’avventura il numero e la tipologia di lamentele diminuirebbero drasticamente a beneficio di una corsa in cui potersi misurare in maniera olistica (mente e corpo). Anche il materiale obbligatorio non necessiterebbe più di verifiche. (Utopia?).
Tra riflessioni e provocazioni, proviamo a capire quale sia l’identità del trail running e quale deriva rischi di prendere installando reti di protezione in eccesso lungo i nostri sentieri.
Proviamo a lasciare che sia ancora ruvido il contatto con questa bellissima dimensione della corsa, come mamma (la natura) l’ha fatta.




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